Romania, perché il nuovo fronte bellico potrebbe venir aperto a Bucarest
I recenti eventi aprono a nuovi scenari non più tanto ipotetici. La Corte Costituzionale ha inciso negativamente sulle nuove elezioni, favorendo una maggiore polarizzazione interna tra pro USA e pro Russia. Nel frattempo, aumentano i rischi di spillover, lasciando ipotizzare a piani di azioni già decisi
Membro NATO e UE, la Romania gioca oggi la strategica partita sul fianco orientale, affacciandosi sul Mar Nero e confinando direttamente col focolaio di guerra ucraino. Negli ultimi mesi, dopo la tanto decantata ripresa post Ceausescu, Bucarest parrebbe vivere una combinazione di tensioni tali da domandarsi se sussistano i requisiti per una nuova Ucraina.
Eventi anomali?
I rischi di spillover (diffusione e contaminazione di gruppi affini) non sono così bassi e alcuni eventi dell’ultimo biennio inducono a pensare alla costruzione – già ultimata? – di operazioni ibride idonee a sfruttare l’humus incerto nel Paese.
Nel dicembre 2024 la Corte Costituzionale rumena, causa interferenze mediatiche filorusse di Calin Georgescu, ha annullato le presidenziali, con conseguenti rivolte e scontri istituzionali piuttosto nuovi n quel di Bucarest.
Come se non bastasse, nel maggio 2025, il leader del partito nazionalista AUR, George Simion, viene sconfitto al battoggio dal sindaco della capitale Nicusor Dan (pro UE) dopo aver vinto il primo turno elettorale. Un risultato letto come una conferma della lealtà rumena al blocco atlantico, pur prendendo atto del rinsavimento dell’opposizione russofila.

A giugno, invece, è stato dato l’avvio all’innovativo esecutivo di Bolojan fondato sull’eterogeneità della maggioranza, includendo le principali sigle partitiche rumene. Da qui, le ipotesi di future tensioni interne sono copiose.
Ma se la politica interna è turbolenta, quella estera non è da meno. La sovranità rumena sembrerebbe subire pressioni multilaterali dalla stessa Odessa, regione a poche decine di chilometri dai confini con temporanee evacuazioni delle popolazioni locali decise dalla NATO in via preventiva.

E se lo spillover sembrava un fenomeno tipicamente mediorientale, i servizi di sicurezza romeni hanno denunziato un tentativo di golpe filorusso nel marzo di quest’anno, diverse operazioni di influenze sul web, il tutto acuito dalla celebre vulnerabilità infrastrutturale di porti e snodi sul Danubio, con strutture materiali ex comuniste facilmente riattivabili.
Modernizzazione militare
Oggi la Romania affronta sfide strutturali che vanno oltre il ciclo politico ed elettorale. La dipendenza energetica parziale dalle rotte del Mar Nero la espone a vulnerabilità logistiche in caso di blocchi o sabotaggi, mentre il programma di modernizzazione militare — inclusa l’acquisizione di sistemi Patriot e aerei F-35 — la rende un nodo chiave nelle strategie NATO.
Sul fronte sociale, l’emigrazione continua di manodopera qualificata erode il capitale umano, aggravando carenze in sanità e innovazione. In parallelo, la pressione per aderire pienamente all’OCSE impone riforme fiscali e previdenziali che rischiano di generare proteste interne, offrendo terreno fertile a narrazioni destabilizzanti.
Strategia NATO
Gli entroterra rumeni sono oggi uno dei principali hub NATO per garantire assistenza militare all’Ucraina. Un suo indebolimento equivarrebbe a incrinare il fronte sud-orientale dell’atlantismo, con un inevitabile esposizione dei territori alle avanzate moscovite.
La forte polarizzazione interna, inoltre, sta gradualmente alimentando il rischio di divisioni tra la popolazione, tra chi è filo Russia e chi filo Nato, con un contrasto interno molto simile agli eventi ucraini del 2014. L’ipotesi di una nuova Ucraina non è poi così remota al netto dei massmedia internazionali che spingono per un rinforzo delle strutture NATO in Romani proprio per esplorare ipotetiche linee “rosse”: in fin dei conti, Nietzsche docet, “nel nemico bisogna vedere il nostro amico, e in lui il nostro ideale”.
Daniele Martignetti